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Greenwashing: definizione, esempi e come riconoscerlo

Al giorno d'oggi le tematiche ambientali sono argomenti dei quali si parla spesso e molto, a causa delle problematiche legate all’inquinamento e alla volontà di ridurre il nostro impatto ambientale. La maggiore attenzione nei confronti della sostenibilità è senz’altro un aspetto positivo, tuttavia in alcuni casi ha generato attitudini poco trasparenti da parte delle aziende mediante il cosiddetto greenwashing.

Questa pratica ingannevole, con comportamenti che possono essere considerati più o meno gravi a seconda delle circostanze, ha il solo scopo di presentare un brand in modo ecologico quando in realtà non lo è affatto, o meno di quel che sembra. Per compiere scelte di consumo etiche e rispettose dell’ambiente, dunque, è importante capire che cos'è; il greenwashing e come riconoscerlo, per sapere come limitarlo grazie a una migliore informazione e consapevolezza sull'ecologismo di facciata.



Cos’è il greenwashing: definizione e significato

Il significato di greenwashing è quello di un falso ecologismo, ovvero un’attenzione alla sostenibilità ambientale da parte di alcune aziende che è puramente apparente. Ovviamente può assumere numerose sfaccettature, ad ogni modo questa accezione si basa sull’intenzione di alcune compagnie di crearsi una reputazione ambientale fuorviante, non completamente corretta, oppure del tutto falsa.

Perché le aziende adottano pratiche di greenwashing? I motivi sono molteplici, tuttavia quello principale è di natura economica. Infatti, sono sempre di più i consumatori attenti al loro impatto sul pianeta, desiderosi di compiere acquisti responsabili dal punto vista sociale e ambientale. Quindi, per un brand è economicamente vantaggioso essere percepito come ecologico e attento all’ambiente.

Un altro motivo è la concorrenza esercitata dalle aziende realmente green nei confronti delle imprese tradizionali. Attraverso il greenwashing, le organizzazioni non rispettose dell’ambiente possono essere viste come ecologicamente sostenibili, in questo modo evitano di perdere competitività sul mercato nei confronti dei marchi effettivamente rispettosi del pianeta e della collettività.

Come nasce il greenwashing? L’origine di questo neologismo è piuttosto recente, infatti il termine greenwashing viene utilizzato a partire dagli anni Ottanta, dopo che l’ambientalista statunitense Jay Westerveld criticò la pratica scorretta di un hotel dove aveva soggiornato. La struttura, infatti, invitava i clienti a riusare gli asciugamani per diminuire le ricadute ambientali legate ai lavaggi, una pratica dettata solo da motivi economici in quanto l’hotel non era sostenibile, né attento all’ecologia come voleva mostrare.

Greenwash

Come riconoscere il greenwashing

Per sapere esattamente che significa Greenwashing basti pensare che si tratta della giunzione di due termini inglesi, la parola green a indicare il colore simbolo dell’ecologismo e il verbo whitewashing, che in senso figurato significa coprire, dissimulare, nascondere. In italiano si utilizza spesso il neologismo inglese, altrimenti il greenwashing viene anche tradotto come ecologismo di facciata, ovvero un ambientalismo falso esistente soltanto in apparenza, adoperato per coprire una reale mancanza di attenzione rispetto alle questioni ambientali.

Questo fenomeno non è facile da individuare, infatti molte compagnie utilizzano strategie di marketing borderline, approfittando spesso di lacune e difficoltà nell’accertare la reale correttezza delle informazioni veicolate mediante la comunicazione aziendale. D’altronde, è più conveniente per le aziende investire nell’apparenza, piuttosto che impegnarsi concretamente nella trasformazione ecosostenibile del proprio business.

Allo stesso tempo bisogna sapere come agiscono le aziende che utilizzano il greenwashing, per evitare di cadere nelle comunicazioni fuorvianti adottate da alcune imprese.

Tra i comportamenti più diffusi è possibile annoverare:

  • Pubblicizzare la sostenibilità di un prodotto esaltandone solo alcuni attributi particolari, per celare al contrario l’impatto ambientale del prodotto nella sua completezza e nell’intero ciclo di vita.
  • Effettuare affermazioni che non hanno una base scientifica, non sono provate da dati affidabili e non vengono confermate da apposite certificazioni ambientali.
  • Comunicare informazioni generiche in merito all’ecologia di prodotti, servizi e processi aziendali con il solo scopo di confondere i consumatori.
  • Fornire informazioni poco rilevanti con l’effettiva attività dell’azienda, affermazioni che non sono utili ma servono appunto a creare una falsa percezione di sostenibilità.
  • Aumentare i vantaggi ambientali forniti da determinati prodotti e servizi, per convincere erroneamente i consumatori a preferirli a quelli dei competitor.
  • Adottare comportamenti fraudolenti, falsificando le certificazioni, comunicando dati non veritieri e utilizzando fonti e informazioni false in modo consapevole.


Alcuni esempi di greenwashing in Italia e all’estero

In tutto il mondo i casi di greenwashing sono abbastanza numerosi e frequenti, con alcuni comportamenti aziendali che sono stati sanzionati dalle autorità preposte o fortemente criticati da parte dei consumatori e delle associazioni ambientaliste.

Per capire meglio come riconoscere l’ecologismo di facciata abbiamo raccolto alcuni esempi di greenwashing delle aziende, utili per prestare attenzione alle attività di comunicazione che possono ingannare e spingere a compiere scelte di consumo ecologicamente sbagliate:

  • Greenwashing Volkswagen: nel 2015 il gruppo automobilistico Volkswagen è finito al centro di uno scandalo internazionale chiamato Dieselgate, in quanto ha ammesso di aver adoperato dei software per far apparire più ecologici di quanto fossero in realtà i propri motori diesel. Le ripercussioni sono state considerevoli e globali, un esempio di greenwashing che invece di offrire vantaggi all’impresa ha causato un notevole danno economico e d’immagine.
  • Greenwashing Nestlé: il colosso alimentare Nestlé è stato più volte accusato di adottare pratiche di greenwashing, avvicinando il proprio brand all’ambientalismo in modo poco trasparente. A muovere accuse di greenwashing nei confronti di Nestlé nel 2015 è stata Greenpeace, giudicando la strategia della compagnia di ridurre l’inquinamento generato dalle confezioni in plastica un’azione di ecologismo di facciata, poiché il piano non avrebbe previsto un vero impegno nella diminuzione della plastica monouso ma una ripulitura dell’immagine del marchio.
  • Greenwashing H&M: nel 2019 il marchio di fast fashion H&M è stato accusato dalla Consumer Authority della Norvegia di pubblicità ingannevole, in quanto l’intento della campagna promozionale Conscious Collection sarebbe stato quello di accostare l’immagine dell’azienda a quella di un brand green, senza però fornire informazioni chiare e precise sull’effettiva sostenibilità dei prodotti pubblicizzati come ecologici. Ad ogni modo, sono numerosi gli esempi di greenwashing nella moda, un settore dove è davvero complesso proporsi come azienda green e rispettosa dell’ambiente.
  • Greenwashing Nike: anche il gigante statunitense dell’abbigliamento sportivo è stato ritenuto colpevole di greenwashing, accusa mossa in seguito a un’inchiesta in Germania realizzata da parte di Flip, Die Zeit e NDR. Mentre Nike affermava che i prodotti acquistati online e riconsegnati in perfetto stato venivano reimmessi sugli scaffali, per evitare sprechi e promuovere la sostenibilità ambientale, i giornalisti hanno scoperto attraverso l’uso di localizzatori GPS che in realtà le scarpe riconsegnate venivano smaltite all’interno di impianti di riciclo, pur trattandosi di prodotti impeccabili, nuovi e mai indossati.
  • Greenwashing ENI: tra i casi di greenwashing in Italia anche ENI è stata accusata recentemente di ecologismo di facciata da parte di Greenpeace, infatti secondo l’associazione ambientalista la creazione di una società benefit amica dell’ambiente sarebbe soltanto un’azione di greenwashing. D’altronde, negli ultimi anni non sono mancate le sanzioni contro l’ecologismo di facciata di ENI, come la multa di 5 milioni di euro nel 2020 da parte dell’Antitrust per la promozione di un presunto diesel green.

Greenwashing


Come limitare il greenwashing

Per contrastare il greenwashing è necessario innanzitutto informarsi bene, non fermandosi solo alle indicazioni fornite dalle aziende ma verificando se la presunta attenzione all’ambiente è reale e basata su dati certi e verificabili. Inoltre, bisogna controllare la presenza delle certificazioni ambientali, le quali provano con maggiore autorevolezza e attendibilità l’impegno nella sostenibilità delle aziende, come Ecolabel, FSC, GRS e gli standard ISO 14001 ed EMAS.

Chi vigila sul greenwashing in Italia? Nel nostro Paese il greenwashing è un comportamento sanzionato, infatti viene identificato come pubblicità ingannevole ed è sottoposto al controllo da parte dell’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Anche la Commissione Europea è particolarmente attenta al finto ambientalismo, infatti da un’indagine svolta assieme alle autorità nazionali degli Stati UE è emerso come il 42% dei siti web, relativi a settori come gli elettrodomestici, i cosmetici e l’abbigliamento, riportino informazioni false, ingannevoli o esagerate confondendo i consumatori invece che aiutarli a compiere la scelta giusta a livello ambientale.

Sul tema della sostenibilità e del rischio greenwashing la Commissione Europea ha deciso di intervenire in modo più incisivo, presentando la nuova agenda dei consumatori. Si tratta di una serie di linee guida e priorità da seguire nei prossimi 5 anni, per combattere il greenwashing a livello nazionale ed europeo migliorando la qualità delle informazioni e la capacità di controllo delle autorità.

I punti cardine dell’agenda dei consumatori sono:

  • Garantire ai consumatori la possibilità di trovare sul mercato prodotti sostenibili e informazioni attendibili, per promuovere l’economia circolare, il consumo responsabile e la riparazione dei prodotti.
  • Mettere in atto attività di contrasto nell'utilizzo non corretto dei servizi online, affinché la trasformazione digitale rappresenti un’opportunità e non un rischio per i consumatori.
  • Far rispettare i diritti dei consumatori, rafforzando la capacità delle autorità nazionali di controllo e introducendo nuovi strumenti di contrasto delle pratiche commerciali abusive.
  • Tutelare i gruppi di consumatori vulnerabili come i bambini, introducendo nuove norme ad hoc e fornendo supporto consulenziale agli Stati membri dell’Unione Europea.
  • Promuovere la cooperazione internazionale per garantire prodotti sicuri ai consumatori europei, collaborando con i paesi produttori come la Cina per migliorare la trasparenza, la tracciabilità e la sostenibilità dei prodotti venduti online nella UE.


Le differenze tra green marketing e greenwashing

Sebbene alcune aziende utilizzino il green marketing per attività di ecologia di facciata, attraverso campagne di greenwashing marketing, in verità si tratta di due fenomeni diversi che non bisogna confondere.

Il green marketing, infatti, è l’attività di promozione che fa leva sulla sostenibilità del brand, dei prodotti e dei servizi proposti. è un’attività legittima se basata su dati e contesti reali, senza un’eccessiva enfasi ambientalista, mentre al contrario diventa uno strumento di falsificazione della percezione ecologica ai danni dei consumatori inconsapevoli.

Il greenwashing marketing può manifestarsi in qualsiasi ambito, anche nel settore finanziario quando vengono pubblicizzati investimenti che rispettano i fattori ESG (Environmental, Social and Governance), quando invece si tratta di prodotti finanziari non sostenibili o soltanto in parte. L’integrazione di greenwashing e green marketing, il green sporco come viene chiamato in gergo nell’ambiente, è solo il tentativo fraudolento e scorretto di fare apparire ecologico e sostenibile un prodotto, un servizio o un’azienda in modo esagerato, non corretto o del tutto illegittimo.

Ma allora cosa sono le eco imprese esattamente? Naturalmente non tutte le aziende che puntano alla sostenibilità ambientale, mediante le proprie strategie di marketing e comunicazione, stanno facendo ecologismo di facciata. Oggi, infatti, molte imprese sono sostenibili o stanno cercando di diventarlo, in quanto hanno un business a basso impatto ambientale e propongono prodotti e servizi eco-friendly che rispettano realmente il pianeta. Nello specifico, un brand green è un’azienda in linea con i principi dello sviluppo sostenibile, in quanto adotta processi aziendali rispettosi dell’ambiente e propone sul mercato prodotti con un ciclo di vita ecocompatibile.

Noi di Pensoinverde crediamo fortemente nel vero ambientalismo, comunicando i nostri valori ecologici in modo onesto, chiaro e trasparente. Per questo motivo all’interno del nostro store online proponiamo soltanto prodotti realmente green ed ecosostenibili, realizzati da azienda certificate secondo i migliori e più severi standard internazionali. In questo modo vogliamo promuovere il consumo etico e responsabile, offrendo la possibilità ad ogni persona preoccupata per il futuro del pianeta di acquistare prodotti sicuri e con una bassa impronta ecologica.

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